L'intervista

Discriminazione, razzismo e povertà: l'altra faccia della crisi climatica

Discriminazione, razzismo e povertà: l'altra faccia della crisi climatica
Le diseguaglianze crescono e i conflitti si acuiscono. Serve una politica che restituisca alle popolazioni la capacità di autodeterminazione
2 minuti di lettura

Nell'Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile dell'Onu l'obiettivo di sconfiggere la povertà è il primo. Per raggiungerlo, agire sulle cause climatiche che portano alcune persone ad essere più colpite da eventi meteo estremi, ad avere meno accesso all'acqua pulita e alle fonti di energia è indispensabile. Cambiare, insomma, un paradigma che ha portato all'elaborazione del concetto di "razzismo climatico" è cruciale. Vanessa Pallucchi, con la sua attività di portavoce del Forum del Terzo Settore, organismo che rappresenta 94 organizzazioni nazionali e oltre 158 mila sedi territoriali nel volontariato, nell'associazionismo, nella cooperazione e nell'impresa sociale, e la sua esperienza come vicepresidente di Legambiente, è tra coloro che si battono per "combattere le diseguaglianze e affermare un modello di sussidiarietà circolare".

 

Il peggioramento delle condizioni climatiche in tutto il mondo aggrava le divisioni sociali preesistenti, perché colpisce più duramente le persone di colore che vivono in condizioni di povertà. Quali le azioni possibili?
"Il terzo settore si occupa di accoglienza, con un lavoro di integrazione e coesione che viene fatto su tutte le persone svantaggiate. Poi c'è tutta la partita che ha a che fare in modo più specifico con l'ambiente, con riflessioni e strategie più generali che associazioni come Legambiente, ma non solo, portano avanti nei grandi consessi internazionali come le Cop".

 

Ai grandi vertici si obietta spesso che diano poco spazio a voci diverse da quelle dei Paesi più industrializzati.
"Infatti il nostro ruolo è anche di contribuire ai summit o alle Cop con riflessioni di carattere internazionale sul clima. All'interno della crisi ambientale bisogna individuare due grandi direttrici connesse tra di loro: le guerre e le migrazioni. Moltissime tra le persone che lasciano i loro Paesi di origine lo fanno perché i territori in cui hanno sempre vissuto sono colpiti da carestie e desertificazioni. Le guerre si originano spesso per il controllo delle fonti energetiche, in aree dove si sviluppano dittature che detengono il monopolio delle risorse".  

 

La Cop28 sarà tra due mesi. Intravvede nuove opportunità per porre al centro la ridistribuzione delle risorse?
"Come sempre alla vigilia di ogni Cop ci sono molte aspettative, ma anche la consapevolezza di una forbice tra quanto sarebbe indispensabile mettere in atto e il limite delle politiche e del sistema economico correnti. Anche a Dubai ci sarà la contrapposizione tra il diritto ad evolversi di Paesi che contribuiscono in misura minima alle emissioni di gas climalteranti e gli interessi energetici dei Paesi occidentali. Così, i risultati sono sempre più modesti di quanto sarebbe necessario, o di quanto ci si attendeva".

 

Ci sono perciò poche speranze?
"No, c'è piuttosto la determinazione a impegnarsi per costruire una politica diversa, che restituisca alle popolazioni e ai territori la loro capacità di autodeterminazione. Come dicevo, all'interno del sistema economico corrente le disuguaglianze crescono, i conflitti si acuiscono. Gli esempi più lampanti sono quelli dei Paesi africani, dove l'interesse dei Paesi industrializzati a estrarre minerali indispensabili per i prodotti tecnologici si manifesta con ingerenze fortissime".

 

Il colonialismo, insomma, non è mai finito?
"In questo caso parlo più come cittadina che come rappresentante del Forum del Terzo Settore. È chiaro che il sistema economico globale elabora soluzioni sul proprio modello culturale, tralasciando di prendere in considerazione le conseguenze che avranno in altri contesti. Faccio un esempio: diamo impulso alle auto elettriche, ma in che modo questa tecnologia che mira a ridurre le emissioni nelle nostre città impatterà altrove?".

 

C'è dunque anche una sorta di razzismo verso conoscenze diverse da quelle del Nord del mondo?
"Questa è da sempre una mia opinione di tipo personale. Stiamo puntando moltissimo sulle tecnologie, ma siamo sicuri che i linguaggi della Natura, spesso appannaggio di popolazioni meno avvantaggiate, vadano abbandonati? Qui ritorna la nostra idea di cooperazione, che deve servire a fare un lavoro di integrazione e di allineamento reciproco, non di sovrapposizione".