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Empowerment dei volontari: una chiave per lo sviluppo sociale. Intervista al ricercatore Giovanni Serra

“Le competenze non sono ciò che una persona sa fare, ma ciò che consente a quella persona di agire efficacemente e trasformare il contesto in cui vive. Hanno a che fare con la capacità dell’essere umano di vivere e di svilupparsi ben al di là dell’ambito lavorativo, di creare capitale sociale, di agire come cittadino attivo e partecipare allo sviluppo democratico”. Giovanni Serra è membro del Laboratorio Metodologie Qualitative nella Formazione degli Adulti che opera nel Dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre: un gruppo di ricerca che da oltre 7 anni porta avanti, insieme al Forum Terzo Settore, il progetto del riconoscimento delle competenze nel Terzo settore.

L’abbiamo intervistato in occasione dell’indagine in corso “NOI+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato”, promossa dal Forum Terzo Settore e Caritas Italiana, in collaborazione con l’Università di Roma Tre, per far riconoscere le competenze dei volontari.

1. Da cosa nasce l’esigenza di realizzare una ricerca sulle competenze dei volontari in Italia e quali sono i passaggi principali di questa iniziativa?

Questa ricerca ha l’obiettivo di dare attuazione a un passaggio del Codice del Terzo Settore, nel quale è sancito il diritto delle persone a vedere riconosciute le competenze maturate nelle loro esperienze di volontariato. La disposizione contenuta nella legge ha bisogno di un metodo e di strumenti adeguati che consentano dare sostanza a questo diritto. Le attività dei volontari sono molto diverse tra loro, ma tutto il volontariato si caratterizza per dimensioni comuni come l’impegno rivolto al benessere della comunità e la gratuità dell’azione. Il punto di partenza è quindi comprendere quali sono quelle competenze che possono dare senso di unità alle variegate attività di volontariato e alle quali è importante dare un riconoscimento. Da questo punto di vista, i dati quantitativi sono essenziali e per questo puntiamo, attraverso l’indagine NOI+, a coinvolgere una platea molto estesa. Il secondo passaggio della ricerca si realizzerà attraverso metodi qualitativi, focus group e interviste in profondità con volontari di ogni Regione italiana, che aiutino ad approfondire e interpretare i risultati dell’indagine quantitativa.

2. Qual è in Italia l’approccio al tema delle competenze? C’è un’evoluzione nel dibattito generale?

Le competenze sono spesso oggetto di una discussione sterile, che le considera quasi esclusivamente in ottica aziendalistica o produttivistica, come se si volessero ridurre le persone a ciò che sanno fare per produrre qualcosa. Ma è un equivoco: le competenze non sono ciò che una persona sa fare, ma ciò che consente a quella persona di agire efficacemente e trasformare il contesto in cui vive. È un aspetto, questo, connaturato alla natura dell’essere umano, ha a che fare con la sua capacità di vivere e di svilupparsi come persona, ben al di là dell’ambito lavorativo, di creare capitale sociale, di agire come cittadino attivo e partecipare allo sviluppo democratico. Ecco dunque che mettere a fuoco gli elementi che possono aiutare le persone a realizzare un processo di empowerment diventa la chiave con la quale promuovere lo sviluppo, individuale e collettivo. Si tratta di un lavoro importante da svolgere anche a livello culturale. Non a caso insieme al Forum Terzo Settore portiamo avanti da oltre 7 anni questo tipo di studi, che si inquadrano all’interno di un processo più ampio di valorizzazione delle persone e di promozione dell’apprendimento permanente, così da rispondere anche a un mondo che cambia continuamente.

3. Ci sono dei modelli di riferimento a cui il nostro Paese può guardare per il riconoscimento delle competenze? Qual è la situazione in Europa?

Sul tema del riconoscimento e della formalizzazione delle competenze, l’Italia si sta allineando con un po’ di ritardo a esperienze di altri Paesi europei. È la stessa Unione europea che ha sollecitato (prima con il Consiglio europeo di Lisbona, poi con la strategia Europa 2020) il riconoscimento delle competenze come condizione per garantire il diritto all’apprendimento permanente. Il presupposto di questo diritto, infatti, è che si possano riconoscere le competenze maturate in contesti non formali e informali, in modo tale, ad esempio, da consentire l’accesso ad ulteriore formazione. Questo è molto importante per le attività, come quelle svolte nel Terzo settore, che raramente sono codificate in percorsi formali ma che consentono alle persone di crescere in modo significativo.

In Italia sono stati mossi i primi passi nel 2012 con la Legge 92 che ha introdotto, tra le altre cose, alcune norme che sanciscono il diritto all’apprendimento permanente e al riconoscimento delle competenze. Attraverso altri passaggi normativi successivi si sta costruendo il sistema italiano di certificazione delle competenze. È un percorso lungo e faticoso, in cui un ruolo fondamentale è svolto da istituzioni come l’Inapp. Attualmente esiste già un quadro nazionale delle qualifiche, una sorta di repertorio dei titoli acquisibili nei vari livelli di studio e delle relative competenze: il nostro obiettivo è far sì che all’interno di questo repertorio trovino spazio sempre di più anche le competenze trasversali, come quelle proprie delle esperienze di volontariato. È uno degli effetti principali che vogliamo generare con la nostra ricerca.

4. Da diversi anni il gruppo di ricerca di cui fa parte lavora sulle competenze nel Terzo settore. Le ultime ricerche hanno riguardato in particolare le competenze dei dirigenti delle organizzazioni e dei volontari del Servizio civile. In base alla vostra esperienza, quanta consapevolezza c’è nel Terzo settore delle proprie capacità?

Attraverso queste ricerche abbiamo messo a punto e sperimentato un modello di accompagnamento al riconoscimento delle competenze. Dall’applicazione di questo modello possiamo dire che, in generale, le persone sono rimaste stupite di quanto sia ricco il loro bagaglio. Questo ci ha fatto comprendere che le competenze acquisite nel corso della vita non sono note alle persone stesse, esistono ma in larga parte sono invisibili finché non si mettono a fuoco attraverso uno specifico percorso. Lo stesso risultato l’abbiamo riscontrato in un’altra ricerca che è attualmente in fase di conclusione, in collaborazione con il Forum Terzo Settore e altri partner, finalizzata a costruire un repertorio europeo di competenze dei dirigenti del Terzo settore: Francia, Spagna, Germania, non sono differenti dall’Italia da questo punto di vista.

5. Come convincere i volontari a compilare il questionario NOI+? Quali sono i vantaggi?

Perché partecipare alla ricerca? La ragione fondamentale è contribuire a dare valore ai volontari, attraverso la costruzione di un repertorio delle competenze che essi agiscono. Se risponderanno in tanti, il repertorio sarà di qualità e le istituzioni dovranno tenerne conto. Questo è un passaggio fondamentale. Sarà la base per dare concretezza al diritto di ciascun volontario al riconoscimento di quelle competenze che effettivamente matura nel suo impegno. Quando questo sarà possibile, i vantaggi saranno più di uno. Il primo sarà la consapevolezza di sé e delle proprie risorse, una condizione per utilizzare il proprio bagaglio in modo più efficace.

Il secondo vantaggio sarà quello di essere valorizzati nella propria associazione in quelle attività che mettono a frutto caratteristiche e capacità personali. Dal punto di vista delle organizzazioni, il vantaggio sarà anche nel riuscire a valorizzare al meglio le proprie persone. Il terzo vantaggio sarà il riconoscimento formale delle competenze, che potrà essere particolarmente utile nell’ambito lavorativo. Sempre di più imprese e organizzazioni cercano persone ricche in competenze trasversali, le cosiddette soft skills. Parliamo di una logica ormai largamente acquisita nel mondo aziendale, perché se le competenze tecnico-professionali possono essere promosse dall’azienda stessa attraverso la formazione, è molto difficile invece costruire competenze trasversali che hanno a che fare con il modo intelligente, proattivo, collaborativo di agire all’interno dell’organizzazione. Questo beneficio non vale solamente per i giovani in cerca di lavoro, ma anche per gli adulti, considerato che le carriere lavorative sono sempre più fluide. In generale, dunque, parliamo di un potenziale vantaggio a veder crescere la propria occupabilità.

I volontari hanno la capacità di investire sul futuro, di seminare nelle difficoltà del presente e accompagnare attivamente la crescita di una società migliore. Chiediamo loro di farlo anche in questa iniziativa, di dedicare 10 minuti della loro vita alla compilazione del questionario come una “semina”, un investimento nell’interesse generale e nella solidarietà, che aiuterà a far riscoprire a tutti il valore dell’azione volontaria.

 

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